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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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De Rada, Girolamo

Girolamo De Rada [San Demetrio Corone (Cosenza), 29 novembre 1814 -28 febbraio 1903]

Per gli albanesi Jeronim De Rada, nacque nella comunità arbereshe di Macchia Albanese, frazione del Comune di San Demetrio Corone. Figlio del papàs Michele e di Marianna Braile, all’età di otto anni venne iscritto al Collegio di Sant’Adriano mostrstrando ben presto una innata predilezione per i classici antichi
Ma il suo principale interesse era il folklore e la letteratura, avendo presto cominciato a leggere le opere di grandi autori europei. Nel 1832, infatti, aveva già composto l’Odisse un poemetto in quattro canti in lingua italiana.
Nel 1833 terminò i suoi studi, diplomandosi a pieni voti. Il padre, sacerdote di rito greco-bizantino e insegnante di latino e greco nel Collegio di Sant’Adriano, lo indirizzò alla professione legale e nell’ottobre del 1934 lo mandò a Napoli dove il giovane si iscrisse all’Università in Giurisprudenza. Nella capitale del Regno frequentò, per un certo periodo, la scuola di lingua italiana di Basilio Puoti, Due anni dopo conobbe anche Vincenzo Torelli, un albanese di Barile (Potenza) direttore del quotidiano «Omnibus», «giornale politico, letterario ed artistico», che gli pubblicò alcune sue liriche in lingua albanese (il figlio di Torelli, Eugenio, Torelli, che aggiunse al suo il cognome della madre Viollier, nel 1876 fonderà a Milano il «Corriere della Sera»). Sempre nel 1836, iniziò a frequentare la scuola di declamazione di Emanuele Bidera, albanese di Sicilia. Impressionato molto positivamente dalle sue prime composizioni poetiche, Bidera lo indusse a pubblicare, il poemetto Poesie albanesi del XV secolo - Canti di Milosao, figlio del despota di Scutari. Con I canti di Milosao, conosciuto in albanese come Kà«ngà«t e Milosaos, in cui si evidenziano le peculiarità etniche degli albanesi che dalla metà del XV secolo alla metà del XVI, dopo l’occupazione turca del loro Paese, si rifugiarono in Italia conservando lingua e tradizioni, diede inizio al movimento risorgimentale politico e letterario albanese di cui fino alla morte fu uno dei maggiori animatori.
Nello stesso anno, conseguì la licenza di Belle Lettere presso l’Università di Napoli. A causa del colera tornò a Macchia. Nei due anni di permanenza nel paese natale, compose in arbà«resh la Notte di Natale, Frosina e Vantisana. Per qualche tempo dimorò a Tessano, in casa di Pasquale Rossi, e lì nel 1837 compose l’Adhine. A Cosenza fu coinvolto nel tentativo rivoluzionario del 23 luglio 1837 quando, capeggiata da Domenico Mauro, scoppiò una rivolta contro i Borboni che fu subito repressa. Costretto per un po’ di tempo alla semi-clandestinità, poté sfuggire alle gravi pene comminate ad altri insorti grazie all’intercessione di autorevoli personaggi e alla benevolenza un giudice estimatore del suo Milosao. Una volta evitata la condanna ritornò a Napoli dove entrò nello studio dell’avvocato penalista Raffaele Conforti ma il suo impegno predominante fu quello degli studi albanologhi.
Nell’inverno del 1839 consegnò l’opera Canti storici albanesi di Serafina Thopiamoglie del principe Nicola Ducagino alla Tipografia Boeziana di Napoli per la pubblicazione. Chiesta però l’autorizzazione alla stampa, essa fu negata dal Canonico Revisore, per cui l’edizione non venne mai diffusa, se non in poche copie sfuggite alla censura ecclesiastica. 
Nel 1840, due anni dopo il suo ritorno a Napoli, il giovane venne arrestato e rinchiuso nelle carceri di Santa Maria Apparente, perché sospettato di attività sovversiva, in quanto amico di Benedetto Musolino. Un mese più tardi, venne rilasciato per mancanza di prove. Amareggiato per quanto era accaduto e in disaccordo con le idee del Mazzini, Girolamo, non volle più partecipare ai moti insurrezionali che seguirono.
Nel novembre del 1840, così, accettò l’incarico di istitutore del figlio undicenne del Duca Nicola de’ Marchesi Spiriti, presso cui rimase sette anni. S’innamorò della figlia del duca, Gabriella. Nel 1843 pubblicò i Canti di Serafina Thopia, principessa di Zadrina nel secolo XV, una nuova edizione riveduta dei Canti storici albanesi di Serafina Thopia, moglie del principe Nicola Ducagino. I canti, che scrisse durante la sua permanenza presso la famiglia Spiriti, riflettono i suoi sogni d’amore per la giovane Gabriella. Dopo sette anni di assenza, ritornò un mese a Macchia, dove continuò la raccolta di canti popolari albanesi.
Nel 1846 pubblicò i Numidi, una tragedia di soggetto classico in lingua italiana. L’anno successivo pubblicò L’Albania dal 1460 al 1485 e la seconda edizione del Milosao.
Nel 1848, sempre a Napoli, fondò il giornale «L’Albanese d’Italia», il primo in lingua albanese, e partecipò attivamente al movimento liberale. Ma quando le insurrezioni di quell’anno furono represse nel sangue, decise di abbandonare la città per ritirarsi definitivamente nella sua città natale. Si sposò con Maddalena Meliqi, arbereshe di Cavallerizzo di Cerzeto che lo rese padre di quattro figli: Giuseppe, Michelangelo, Rodrigo ed Ettore.
Stabilitosi nella sua terra, iniziò concretamente a dedicarsi alla causa albanese, ponendo il problema del suo paese d’origine dinnanzi alle nazioni europee. Appositamente per lui, nel 1849 venne istituita la prima cattedra di lingua albanese nel Collegio di Sant’Adriano. Su pressione delle autorità borboniche, a causa dei suoi trascorsi liberali, tre anni dopo l’incarico gli fu revocato. Fu comunque un periodo molto proficuo, sia sul piano letterario sia politico e scrisse molto. Continuando lo studio della sua lingua, approfondì la storia del Paese delle Aquile e nel 1864 pubblicò Antichità della Nazione Albanese, rifacimento del volume pubblicato nel 1840 col titolo Divinazioni pelasgiche.
Nel 1866, grazie al sostegno di Nicolò Tommaseo, pubblicò a Firenze una raccolta di canti popolari italo-albanesi, le Rapsodie d’un poema albanese. Dal 1868 al 1874 diresse il Ginnasio Garopoli di Corigliano. Nel 1869 apparve la Grammatica albanese (pubblicata con il nome del figlio Giuseppe). Tra il 1872 e il 1884 compose lo Skanderbeku i pafān (Scanderberg disavventurato), in cui tratteggia, a volte in maniera agiografica, le imprese e la stessa vita del condottiero che lottò contro gli ottomani per liberare il suo popolo dall’oppressione.
Continuò, tuttavia, anche nello studio delle lettere latine e greche. Nel 1882 diede alle stampe il saggio in italiano Quanto di ottimo vivere sia negli Stati rappresentati. Dal 1883 al 1886 partecipò attivamente al movimento risorgimentale albanese, dando vita a un periodico, «Fjà muri Arbèrit» («Vessillo dell’Albania»), del quale – quasi perfetto esempio di giornalista “a integrazione verticale” – era editore, amministratore, direttore, estensore degli articoli e spedizioniere.
Nel 1891 pubblicò la tragedia storica Sofonisba, nella quale la storia dolorosa del popolo albanese.
Promosse due Congressi linguistici albanesi, a Corigliano Calabro (1895), al quale parteciparono le massime personalità albanesi, e due anni dopo a Lungro. Nel 1897, ottantacinquenne, partecipò anche ai lavori del XII Congresso orientalista di Roma, con una importante e apprezzata relazione dal titolo «Caratteri della Lingua Albanese e i suoi monumenti nell’età preistorica».
Nel 1898 pubblicò il poema Uno specchio di Umano transito e la terza edizione dei Canti di Serafina Thopia. Curò, infine, un’Autobiologia pubblicata nel 1898-1899.
Nel 1899, finalmente, fu ripristinato e gli fu riaffidato l’insegnamento della lingua albanese nel Collegio di Sant’Adriano che raggiungeva a piedi tre volte la settimana.
Morì all’età di 89 anni nella miseria più nera. Un anno prima aveva pubblicato il suo Testamento politico.
Socio dell’Accademia Cosentina è considerato fra i maggiori poeti d’Albania e da qualcuno perfino il «Dante albanese». Per questo motivo è ricordato non solo nei paesi albanesi in Italia, ma anche in Albania, in Kosovo e in Macedonia e Montenegro oltre che in diversi centri italiani, tra cui Cosenza e Catanzaro, dove a suo nome sono intestate scuole, vie e piazze. 
Un suo busto bronzeo, donato nel 1965 dalla Repubblica d’Albania, si trova nel cortile del Collegio di Sant’Adriano. Un altro monumento, donato sempre dal governo di Tirana nel 1978, si trova a Macchia. (Francesca Raimondi) © ICSAIC 2021 - 08

Opere

  • Opera Omnia, vol. 12, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998-2017;

Nota bibliografica

  • Michele Marchianò, L'Albania e l'opera di Girolamo De Rada, Tip. V. Vecchi, Trani 1902;
  • Michele Marchianò, Un autografo inedito del poeta albanese Girolamo De Rada intorno alla sua vita, Tip. ed. Vecchi, Trani 1909;
  • Vittorio Gaspare Gualtieri, Girolamo De Rada, Remo Sandron, Palermo 1930;
  • Paolo Emilio Pavolini, De Rada, Girolamo, in Enciclopedia Italiana, Vol. 12, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1931;
  • Giuseppe Schirò jr., Storia della Letteratura albanese, Milano 1959, ad nomen;
  • Giuseppe Gradilone, Studi dì letteratura albanese, Roma, 1960, ad nomen;
  • Ernesto Koliqi, Girolamo De Rada, Istituto Grafico Tiberino, Roma 1963;
  • Giuseppe Valentini, Girolamo De Rada nella letteratura e nella storia albanese, Tipografia Urbinati, Roma 1964;
  • Jeronimo De Rada 1814-1964, Frasheri, Tirane 1964;
  • Ahmet Kondo (a cura di), Fiamuri i Arberit, Frasheri, Tirane 1967;
  • Arshi Pipa, Hieronymus De Rada, R. Trofenik, Munchen 1978;
  • Giuseppe Schirò jr., Storia della Letteratura albanese, Milano 1959, ad nomen;
  • Italo Costante Fortino, (a cura di), A Girolamo De Rada. Problemi di cultura arbereshe nel secondo Ottocento, Brenner, Cosenza 1986
  • Ismail Kadare, Il Milosao: l'unico romanzo in versi della nostra tradizione poetica, «Microprovincia», Stresa 2003;
  • L'Albanese d'Italia giornale fondato e diretto da Girolamo De Rada (Napoli, 1848), Fondazione universitaria Francesco Solano, Frascineto 2014.
  • Thomas Kacza, Girolamo (Jeronim) De Rada (1814-1903), Salzuflen, Berlin, 2014.

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