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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Foti, Giovanbattista (“Titta”)

Giovanbattista Foti ("Titta") [Siderno (Reggio Calabria), 16 settembre 1912 - 8 novembre 1978]

Proviene da una famiglia della piccola borghesia, figlio di Giuseppe e Angelina Diano. La madre, appena ventenne, muore a causa di febbri puerperali e il bambino viene allevato dalla matrigna. Tutto ciò che riguarda la sua infanzia e la giovinezza, vissuta in Calabria, lo si può ricavare dal romanzo autobiografico Albatros, pubblicato nel 1946 a Città  di Castello, ma sull'attendibilità  delle notizie ivi riportate non vi è garanzia alcuna poiché le vicende personali risultano indissolubilmente intrecciate, fino a confondersi, con la trama romanzesca. Non seguì un regolare corso di studi, anche se nel 1931 o 1932, conseguì la maturità  classica; lui stesso, tuttavia, pur avendo una profonda e versatile cultura, amava definirsi e considerarsi un autodidatta. La passione della sua vita - quella per il gioco - si manifestò ben presto e lo portò, nella compulsiva ricerca di denaro, a compiere anche qualche azione illegale come la vendita di beni di famiglia e il contrabbando di olio. Negli anni a ridosso della guerra, inizia la sua attività  di giornalista come cronista sportivo nei giornali locali e scrive un testo teatrale - Pido la palabra (Chiedo la parola) - sulla guerra di Spagna vista dai Repubblicani. Nel 1942 viene chiamato alle armi e inviato ad Ancona.
In quel periodo, presumibilmente a partire dal luglio del 1943, si avvicina ai gruppi anarchici e i suoi articoli, ferocemente anticlericali, appaiono su vari giornali tra i quali «Umanità  nova » e «L'agitazione » di cui è direttore. Nel 1945 fonda sempre ad Ancona, una Compagnia teatrale in cui recita un attor giovane, Giorgio Albertazzi, un tenente delle Brigate nere, reduce da Salò. Con lui fonda il primo teatro anarchico e mette in scena diversi testi, tra cui il suo Pido la palabra, che viene rappresentato in prima a Terni. I partigiani milanesi, che sono sulle tracce di Albertazzi, lo individuano in teatro, impegnato in una piece dedicata al 1 ° Maggio. Grazie all'intervento di Foti, Albertazzi si salva da una sicura fucilazione, ma viene incarcerato e verrà  liberato solo a seguito dell'amnistia di Togliatti, nei primi mesi del 1947.
Nel biennio successivo Foti svolge un'intensissima campagna di propaganda con comizi, conferenze, dibattiti e pubblici contradditori in tutta l'area centro settentrionale. Famosi i suoi scontri con don Pino Mazzolari e con padre Lombardi, «il megafono di Dio ». Le sue conferenze sono riprese da tutta la stampa anarchica che pubblica ampi resoconti e cronache dettagliate delle manifestazioni, perfino «L'Adunata dei refrattari », il giornale d'oltreoceano, pubblica ampi stralci dei suoi discorsi. Al primo congresso della FAI - Federazione Anarchica Italiana - che si tiene a Carrara nel settembre del 1945, partecipa come delegato del Gruppo Malatesta di Perugia, della Federazione Anarchica marchigiana e della Federazione Comunista Libertaria di Cremona.
Nel marzo del 1946 partecipa al convegno nazionale della F.A.I. di Firenze e pronuncia un intervento apprezzato da molti militanti e dirigenti. Poi, all'improvviso, su «Umanità  nova » dell'11 agosto appare uno stringato comunicato: «La FAI rende noto a tutti i compagni di Italia e dell'estero che Titta Foti non si può considerare un compagno. Ugo Fedeli ». Nient'altro, nessuna spiegazione e nessun approfondimento. Le illazioni, le congetture, le supposizioni sui reali motivi di questa rottura improvvisa quanto netta, non verranno mai chiariti. Si parlò, all'epoca, della sottrazione di un'ingente somma di denaro dalle casse del movimento poi persa a poker; di una relazione clandestina con la moglie di un dirigente anarchico e di tant'altro. La vicenda non venne mai chiarita e su di essa venne steso, da parte degli anarchici, un pesante velo di silenzio fino alla totale rimozione. In verità  lo stesso Foti osservò per tutta la vita il più stretto riserbo e non confessò mai a nessuno i veri motivi di questa rottura così netta con il movimento anarchico, pur continuando a professarsi e a dichiararsi «anarchico ».
Tornato in Calabria, riprende la collaborazione con i giornali locali come commentatore politico e inizia l'attività  di critico letterario e teatrale per «La fiera letteraria ». Nel 1948 viene chiamato a Roma come collaboratore del quotidiano «La Giustizia », organo del Psdi - Partito Socialista Democratico Italiano - diretto da Carlo Andreoni, e in quello stesso anno si sposa con Antonietta Diano dalla quale avrà  due figlie. Su questo giornale, tra l'altro, pubblica tre coraggiosissimi articoli contro Ante Pavelic, capo degli Ustascia croati, criminale di guerra, rifugiato in Svizzera. Il rapporto con il quotidiano socialdemocratico dura poco più di un anno e s'interrompe a causa di un aperto dissidio nei confronti della linea del Partito di cui è segretario Giuseppe Saragat. Gli viene offerta una collaborazione a «Paese sera », quotidiano di orientamento comunista, che accetta con scarsa convinzione e per necessità . Anche in questo caso il rapporto dura pochi mesi poi l'inevitabile rottura. Sempre in questo periodo pubblica un altro racconto-saggio, Macerie e una silloge di poesie - Cristo sulle barricate - che, però, non incontrano il favore del pubblico, anzi vengono apertamente boicottate dai suoi ex compagni anarchici. Rientrato a Siderno per vivere si adatta alle più diverse collaborazioni, ma è costretto a svendere gran parte delle proprietà  di famiglia per far fronte ai crescenti debiti di gioco.
Nel 1956, grazie all'apporto di Giuseppe Primerano e di altri imprenditori, fonda «Il Gazzettino del Jonio », un settimanale di informazione che, però, non riesce a decollare e deve ben presto sospendere le pubblicazioni. Anche in questa circostanza le ragioni dell'insuccesso non sono state attribuite esclusivamente all'impreparazione del mercato editoriale calabrese o allo scarso gradimento dei lettori ma, oltre i soliti demoni e vizi che affliggono Foti, vengono in evidenza le tante sue contraddizioni. Una personalità  così poliedrica e camaleontica da essere capace di dichiararsi, contemporaneamente, repubblicano e monarchico, liberale ed anarchico, socialista e socialdemocratico, tuttavia sempre anticomunista. Nei primi anni Sessanta l'iniziativa giornalistica viene ripresa sempre dall'ing. Primerano che come capofila di una cordata di imprenditori della provincia di Reggio Calabria, chiama nuovamente, nel 1961, Foti a dirigere «Il Gazzettino del Jonio ». Questa volta il settimanale che si definisce «indipendente », «libertario », «socialista », diventa uno strumento per il libero esercizio dell'autonomia del pensiero, una palestra di formazione per i giovani, come Sharo Gambino, Nicola Zitara, Luigi Malafarina, Moisè Asta, Osvaldo Bevilacqua, Rocco Ritorto, Pasquino Crupi, Enzo De Virgilio, Salvatore G. Santagata e Franco Martelli, che si avviano verso il giornalismo. Inoltre Foti chiama a collaborare intellettuali del calibro di Leonida Repaci, Fortunato Seminara, Antonio Piromalli, Emilio Argiroffi, Franco Abruzzo, Aldo Casalinuovo, Gaetano Greco Naccarato, Ilario Principe e Luigi Maria Lombardi Satriani. Sposta la direzione da Siderno a Catanzaro e stampa il giornale a Roma, prima nella tipografia dell' «Avanti! » e poi in quella de «L'Unità  ». Dal 1963 al 1967 la vice-direzione viene assunta da Nicola Zitara, che diviene un po' il suo alter ego, poi il giornale comincia a perdere lo smalto iniziale e, tuttavia, riesce a rimanere nelle edicole fino al 1974. Il demone del gioco del suo direttore può considerarsi la vera causa della chiusura del giornale, anche se c'erano indubbiamente delle ragioni politiche contingenti che ne reclamavano la fine. Foti piombò nella più squallida miseria e solo grazie all'aiuto degli amici riuscì a sopravvivere ancora per qualche anno.
Morì nel 1978, aveva 66 anni. (Antonio Orlando) © ICSAIC 2019

Opere

edite

  • Macerie, (pref. Raffaele Simonucci), Tipografia Unione Arti Grafiche, Città  di Castello 1945 (poi FPE - Franco Pancallo Editore, Locri 2014);
  • Albatros: romanzo di un ribelle, Tipografia Unione Arti Grafiche, Città  di Castello 1946;

inedite

  • Cristo sulla barricata, dramma in tre atti;
  • I Zigareschi, romanzo;
  • Colui che non fu uno scrittore.

Nota bibliografica

  • Franco Bertolucci, ad nomen, in Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani - vol. I -BFS Edizioni, Pisa, 2003.
  • Italiano Rossi, La ripresa del movimento anarchico italiano e la propaganda orale dal 1943 al 1950, ElleErre Edizioni, Pistoia 1981.
  • Alfredo Salerni, Titta Foti, E. in p., Roma 1991.
  • Antonio Orlando, Anarchici e Anarchia in Calabria, Edizioni Erranti, Cosenza 2018.

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