Strage di Cutro, un articolo di Vittorio Cappelli per “I Calabresi”

Le risposte della politica alla strage di migranti al largo di Cutro evidenziano scarsa conoscenza dei fenomeni migratori. Questo il filo conduttore della riflessione di Vittorio Cappelli, storico delle migrazioni e direttore del nostro Istituto, in un articolo pubblicato da “I Calabresi”, che volentieri rilanciamo.

Fonte I Calabresi (pubblicato in data 3 marzo 2023).

Piantedosi, Occhiuto e il passato che dimenticano
Le risposte della politica alla strage di Cutro evidenziano la scarsa conoscenza del fenomeno delle migrazioni. A partire da quelle che videro protagonisti gli italiani.

Credo e spero che in breve tempo si accerterà se la strage di migranti avvenuta nelle acque di Cutro poteva essere evitata, individuando gli eventuali colpevoli di mancato soccorso. Ma, a fronte della sensibilità umana e della responsabilità civile di chi ha prestato invece soccorso alle vittime del naufragio, una cosa assai grave è apparsa con certezza fin da subito: la grave inadeguatezza culturale e politica di chi ci governa.

Le parole di Piantedosi

Nel caso del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, già prefetto di Bologna e di Roma, non c’è da sorprendersi dell’oscenità delle sue dichiarazioni, trattandosi della stessa persona che quattro mesi fa, nello scorso novembre, sostenne la necessità di organizzare «sbarchi selettivi», consentendo di sbarcare solo a donne, bambini e persone in cattive condizioni psico-fisiche, respingendo invece i migranti in buona salute, cinicamente definiti: «carico residuale».
Non contento di questa sua esternazione, Piantedosi ha replicato nei giorni scorsi il suo raccapricciante punto di vista sui migranti, affermando che «la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli», attribuendo dunque la colpa della strage di Cutro alla “irresponsabilità” dei genitori migranti. Infine, in risposta alle critiche che sta ricevendo, Piantedosi non trova ora di meglio, in audizione alla Camera, che rivendicare con orgoglio il suo passato di “questurino”.

L’ignoranza del fenomeno

Ora, è evidente che il pregiudizio politico e l’avversione altezzosa nei confronti dei migranti si accompagna alla più completa ignoranza della drammaticità del fenomeno migratorio. È del tutto chiaro che le condizioni tragiche e disperate da cui spesso fuggono i migranti non consentono di scegliere le modalità di partenza e anche quando non si fugge da guerre e dittature sanguinarie le motivazioni che spingono a lasciare il proprio paese sono talmente forti da affrontare ogni rischio. Ma questo non appartiene soltanto alle migrazioni contemporanee. Basterebbe conoscere anche superficialmente la storia dell’emigrazione italiana, per capirlo.

I migranti di “casa Piantedosi”

Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera di mercoledì 1° marzo, ha ricordato a Piantedosi gli innumerevoli naufragi delle navi che portavano gli emigranti italiani nelle Americhe e le traversie inenarrabili patite da tante madri che cercavano di raggiungere coi loro bambini i mariti emigrati all’estero. Ma temo che sia un esercizio pressoché inutile. Se Piantedosi volesse conoscere un po’ di storia dell’emigrazione, gli basterebbe rivolgersi ai suoi compaesani di Pietrastornina, il paesino irpino da cui proviene, che nel 1911 contava oltre cinquemila abitanti e oggi ne ha poco più di un migliaio. E scommetto che gli sia ignota la storia di un altro paesino campano, non lontano dal suo, Castelnuovo di Conza, che detiene il primato nazionale del più alto numero di residenti all’estero in rapporto alla popolazione: oltre tremila in giro per il mondo e solo cinquecento a Castelnuovo.

Precedenti illustri

Quanto ai genitori che emigrando mettono in pericolo la vita dei loro figli, gli si potrebbe raccontare la storia di una donna di Oppido Lucano, Felicia Muscio, che con la sua piccola bambina, per raggiungere il marito già emigrato, nel 1897 si mise in viaggio alla volta di Iquique, nel nord del Cile, affrontando un viaggio pazzesco, che la portò prima in nave a Buenos Aires, poi in treno fino alle Ande; e infine, attraversando la Cordigliera, a dorso di mulo con la bimba in braccio, superando spazi immensi senza conoscere una parola di spagnolo, riuscendo in ultimo a raggiungere lo sposo.
Ma, ripeto, per uno come Piantedosi, è fatica sprecata cercare di fargli capire cosa sono le migrazioni: per lui – ma, temo, per l’intero governo – purtroppo l’odissea di Felicia Muscio sarebbe di fatto riconducibile alla cosiddetta «migrazione economica», dunque oggi, in quanto tale, andrebbe respinta nel luogo d’origine, come i «carichi residuali» di cui sopra.

Anche Occhiuto ne sa poco

Mi si potrebbe obiettare che il ministro Piantedosi è un caso limite, o che il suo lessico da “questurino” tradisce più miti intenzioni, o che altri governanti sono più avveduti e competenti. Mi piacerebbe fosse vero, ma nei giorni scorsi anche in Calabria ho ascoltato dai governanti cose sconcertanti. Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ad esempio, intervistato al TG3 il 27 febbraio, ha detto che «quando partivano i calabresi verso il Canada, l’Argentina, la Germania, andavano verso Paesi dove questo fenomeno era governato, oggi questo fenomeno non è governato».
Chi glielo racconta a Occhiuto che Stati Uniti, Argentina e Brasile hanno accolto milioni di italiani perché ne avevano bisogno? Chi glielo spiega che in quell’alluvione migratoria c’era di tutto e che “governarla” era piuttosto complicato? E delle baracche che ospitavano i calabresi in Svizzera, in Germania e in Belgio, ne sa qualcosa? Invece di parlare di vicende che probabilmente conosce poco, perché non cerca di fare i conti con le sciocchezze e le insipienze del suo governo nazionale di riferimento?

Ripartire dalla Costituzione

Intanto, io credo che non ci resti che partire dai fondamentali, ricordando a chi ci governa che l’articolo 10 della nostra Costituzione si conclude con queste parole: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Vittorio Cappelli
Storico delle migrazioni, Università della Calabria

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