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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Tuscano, Bruno

Bruno Tuscano [Palizzi (Reggio Calabria), 20 marzo 1920 - San Maurizio Canavese (Torino), 24 gennaio 1945]

Nacque da Leone, grande invalido della prima guerra mondiale, e da Vittoria Franco, casalinga. Trascorse l'infanzia nel luogo natìo, poi la famiglia si trasferì a Reggio di Calabria, dove il padre trovò occupazione compatibile con le sue mutilazioni, abitando nel Rione "E" (ora Reggio-Campi).
Dopo l'istruzione di base, Bruno si iscrisse all'Istituto Magistrale e nel contempo frequentò con assiduità  il Circolo Parrocchiale di San Paolo alla Rotonda, nello stesso quartiere in cui viveva. In quel periodo venne affascinato dai diari di guerra di Mussolini e si dedicò alle attività  ginniche obbligatorie e facoltative presso la Palestra Principe di Piemonte, tra Campi e il Castello Aragonese. Completò gli studi diplomandosi al Liceo Classico Tommaso Campanella e si iscrisse poi, nel 1940, alla Facoltà  di Giurisprudenza presso l'Università  di Messina, ma non riuscì a proseguire negli studi giuridici, verso i quali era molto portato. Nel frattempo aveva coltivato la passione per il teatro, con attività  estemporanee organizzate dalle parrocchie, e per la fotografia, grazie alla frequentazione di molti artisti operanti nella sua città , tra i quali anche il noto Giuseppe Mavilla.
Si iscrisse anche al Centro Sperimentale di Cinematografia, a Roma, ma non seguì le lezioni.
L'11 agosto del 1942, difatti, dovette accantonare le sue ambizioni professionali e le sue passioni, essendo stato chiamato alle armi e inviato a Ceva, in provincia di Cuneo, per frequentare il Corso Allievi Ufficiali di complemento della Regia Aeronautica. Non riuscì a completare il programma di formazione e addestramento a causa di un infortunio che gli procurò una frattura alle costole e dopo la convalescenza, promosso nel frattempo al grado di sergente, venne assegnato a Fossano, sempre nel cuneese, con le mansioni di istruttore.  
Quando venne annunciato l'armistizio, circa un anno dopo, si trovava nei dintorni di Piacenza, dove venne catturato dalle truppe tedesche e destinato all'internamento in Germania. Riuscì, però, a fuggire in maniera rocambolesca e a tornare a Ceva, dove trovò ospitalità  presso alcune famiglie che aveva là  conosciuto ai tempi del corso, persone consapevoli dei rischi ai quali potevano andare incontro nel concedergli asilo e nell'aiutarlo, alle quali fu molto riconoscente per la loro solidarietà . Già  pochi giorni dopo (il 13 settembre 1943) riuscì, grazie a loro, a trovare occupazione presso l'Ufficio Accertamenti Agricoli di Sale delle Langhe, località  non distante da Cuneo, città  dove in seguito, a cavallo tra il 1943 e il 1944, fece richiesta di assegnazione negli uffici di gabinetto della Prefettura (Federazione Repubblicana), alla cui guida vi era Paolo Quarantotto, che era stato federale a Reggio Calabria e che Tuscano aveva conosciuto quando era ancora un ragazzo per precedenti contatti con i suoi genitori e altri parenti.  
In Tuscano si radicava, tuttavia, sempre di più l'avversione al fascismo e ciò non passò inosservato ai dirigenti di quella Prefettura, pur senza subire, in un primo periodo, conseguenze immediate e dirette. In quegli ambienti conobbe Walter Alessi e altri amici dell'avvocato Duccio Galimberti, cuneese, che fu la figura di maggiore rilievo della Resistenza piemontese, e venne in contatto con gli Azionisti. Prima di essere scoperto, aiutato proprio da Alessi, abbandonò Cuneo, dopo aver acquisito documenti importanti e compromettenti della federazione fascista e iniziò a dare il suo contributo alla lotta partigiana, partecipando nell'estate del 1944 alla guerriglia sulle montagne di Ceresole Reale (Torino) e sul Colle della Crocetta, tra la Valle Orco e le Valli di Lanzo, a oltre 2.500 metri di altitudine, nelle Alpi Graie piemontesi. Era nella II Divisione Garibaldi, della quale divenne ufficiale istruttore e in seguito fu Capo di stato maggiore della 20 ª Brigata d'assalto "Paolo Braccini". Quell'area fu caratterizzata da aspre guerriglie e per timore dei rastrellamenti, assieme ad altri componenti, a settembre dovette trovare rifugio per un breve periodo nella vicina Francia, a Val-d'Isère e dintorni.  
Al rientro, nel successivo mese di ottobre, dovette constatare la decimazione della divisione che coordinava, e si adoperò da subito alla formazione della colonna alpina "Renzo Giua" facente capo a Giustizia e Libertà , unica formazione di matrice azionista nelle Valli di Lanzo che presidiava la Val Grande, assumendone il comando e organizzando e coordinando i contatti tra le bande azioniste del territorio piemontese, gli alleati e i "maquis" francesi per ottenere il rifornimento di armi e munizioni, nonché di viveri. Dovette, con grande saggezza ed equilibrio, anche dirimere i contrasti tra i garibaldini e gli azionisti, che rischiavano di vanificare le lotte avviate, anche e soprattutto a salvaguardia dei civili residenti in quei territori.  
Assieme a lui, combatterono sul territorio piemontese uomini e donne che poi contribuirono a cambiare il corso della storia: tra i tanti, il genovese Pietro "Pedro" Ferreira, che venne ucciso a Torino al Poligono Nazionale del Martinetto il giorno prima dell'esecuzione di Tuscano, e poi Antonio Giolitti (che in seguito divenne esponente del Partito Socialista e parlamentare, e che era stato tra i fondatori delle Brigate Garibaldi assieme a Giancarlo Pajetta, dirigente comunista di spicco nel dopoguerra), Walter Alessi, denominato "l'inafferrabile", Nicola Grosa, Giulio Bolaffi (appartenente alla nota famiglia di filatelici), Giovanni Battista Gardoncini, nonché Teresa Noce, Rita Montagnana e Angiola Minella, tre partigiane che furono in seguito elette alla Costituente, e molti altri.
Era il 23 gennaio del 1945 quando, con il suo reparto (era comandante della Colonna Giustizia e Libertà  "Renzo Giua"), Tuscano si trovava nell'area montana di Vonzo, una frazione di Chialamberto, nel Torinese, a oltre 1200 metri di altitudine, e venne sorpreso da un rastrellamento da parte del nucleo di paracadutisti della 184 ª Divisione Nembo, unità  del Regio Esercito confluita nella Repubblica Sociale Italiana di Salò, di stanza a San Maurizio Canavese (Torino). Arrestato, venne sottoposto a un durissimo interrogatorio nella Casa Littoria, sistemata in un edificio scolastico, dove aveva sede il presidio fascista. Tuscano si assunse ogni responsabilità , scagionando gli uomini della sua Colonna, i propri compagni di lotta che grazie al suo gesto si salvarono in gran parte, nonostante la successiva detenzione in carcere e, per alcuni, la destinazione in campi di internamento. I parà  repubblichini lo processarono e lo condannarono alla fucilazione, che fu eseguita il giorno successivo davanti alla Chiesa Vecchia del Cimitero. Il Tenente Bruno Tuscano morì gridando «Viva l'Italia libera! » dopo aver avuto la concessione di scrivere una lettera ai genitori e una ai cugini Minniti, con i quali aveva un forte legame. Entrambe le lettere sono custodite, in originale, tra le carte private del fratello Francesco.
Nella sua breve vita non ci fu spazio per una compagna e per eventuali figli.
La scelta coraggiosa ed esemplare di Tuscano, ancorché tormentata, assurge a simbolo dei valori della Resistenza tramandati e da tramandare alle future generazioni, rappresentando quell'unità  di intenti che fece prevalere i valori umani in un momento storico drammatico per il Paese. La sua figura è stata e continua a essere un importante richiamo ai combattenti partigiani e alla memoria e ai luoghi della Resistenza: negli scantinati della scuola di Via Bo, all'epoca Casa Littoria, c'è la "stanzetta di Bruno", dove Tuscano e altri componenti della colonna "GL" furono sottoposti a torture e violenze, e nella quale trascorse la sua ultima notte.
Il 3 marzo 2005, in occasione delle celebrazioni per il 60 ° anniversario della Liberazione, l'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel cortile d'onore al Palazzo del Quirinale, ha consegnato al fratello Francesco la Medaglia d'oro al merito civile alla memoria per avere salvato gli uomini al suo comando. Il riconoscimento venne così motivato: «Giovane di elevate qualità  umane e morali, durante la guerra di liberazione, aderiva con appassionato impegno alla colonna di Giustizia e Libertà  - Renzo Giua. Al comando di questa formazione, dopo quattro giorni di assedio, nei pressi di San Maurizio Canavese (Torino), con generosità  d'animo e fierissimo contegno, consegnandosi mortalmente al fuoco nemico, ottenne di salvare i suoi uomini, dando viva e coerente testimonianza di abnegazione e di elette virtù civiche. Preclaro esempio di amor patrio e di spirito di sacrificio.  24 gennaio 1945 ».
Nello stesso anno il consiglio comunale di Palizzi, sindaco l'architetto Arturo Walter Scerbo, ha intitolato all'eroico partigiano una piazza della cittadina. Tuscano riposa nel cimitero di San Maurizio Canavese, che lo ricorda nei luoghi della resistenza e con una via del centro che porta il suo nome. (Letterio Licordari) © ICSAIC 2022 - 9  

Documenti

  • Bruno Tuscano, Lettere del 24 gennaio 1945: ai genitori (ora indicata 15:00) e ai cugini Minniti (ora indicata 17:00) - custodite in originale tra le carte private del fratello, Francesco Tuscano.

Nota bibliografica

  • Franco Brunetta,  I ragazzi che volarono l'aquilone. Indagine su una formazione partigiana, Editore Araba Fenice, Cuneo 2010.
  • Giovanni De Luna (a cura di),  Le formazioni GL nella Resistenza. Documenti settembre 1943-aprile  1945, Franco Angeli, Milano 1985, pp. 215 e 410.
  • Franco Brunetta,  La Calabria nella guerra di liberazione. Bruno Tuscano, eroe della resistenza,  in «Sud Contemporaneo », III, 1, 2002, pp. 13-20.
  • Donne e uomini della Resistenza, portale dell'ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (www.anpi.it)
  • Bruno Tuscano, portale dell'ANPI, Sezione di San Maurizio Canavese [Cn] (www.anpisanmauriziocanavese.it)

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