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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Cortese, Salvatore

Salvatore Cortese [Lungro (Cosenza), 21 febbraio 1899 – 27 luglio 1951]

Secondogenito di Domenico e Teresa Maria De Marco, nasce dopo Rosa e prima di Maria, Adelaide e Saverio. Il padre emigra a Buenos Aires nel 1906, e con la moglie decidono di mandare a scuola solo il figlio maschio (Saverio sarebbe nato nel 1919). Viene iscritto così alla scuola elementare dove ha come maestro Camillo Vaccaro, di idee socialiste, ma la precaria situazione economica della famiglia non gli consente di proseguire negli studi. Chiamato alle armi come tutti i “ragazzi del ’99”, combatte nella Prima guerra mondiale, venendo ferito e fatto prigioniero dagli austriaci. Tornato a casa alla fine del conflitto, si iscrive alla locale sezione del Partito comunista d'Italia, mettendosi in evidenza nella lotta contro gli squadristi.
Prima dell'espatrio in Argentina, avvenuto nel 1924, le autorità non lo ritengono politicamente pericoloso, ma, appena si stabilisce a Buenos Aires, fa subito pervenire nel circondario del suo paese d'origine vari giornali stranieri a carattere antifascista. A causa di una lettera scritta alla madre e contenente frasi ingiuriose nei confronti di Mussolini, il 20 agosto 1926 viene condannato in contumacia dal Tribunale di Castrovillari a otto mesi di reclusione e a mille lire di multa per offese al duce. In questo periodo svolge un'intensa azione pubblicistica, scrivendo alcuni articoli apparsi sulla rivista «Eresia» edita a New York. Nella primavera del 1930 aderisce al Comitato locale pro vittime politiche del fascismo che in quei giorni si stava occupando della raccolta di fondi – iniziativa promossa, oltre che da lui, da Aldo Aguzzi, Lino Barbetti, Luigi Fabbri e Carlo Fontana – a favore soprattutto dei compagni di fede Gigi Damiani, Gino D'Ascanio, Gino Lucetti, Sante Pollastro e della vedova di Giuseppe Turchi. 
Svolge attiva propaganda anche nelle officine delle ferrovie locali, fa parte dei gruppi “Umanità nova” e “L'Avvenire”, capeggiato da Aguzzi, e scrive sul periodico L'Allarme, organo dei comunisti anarchici di Buenos Aires. Nel 1928 subisce il primo arresto.
Per sfuggire alla polizia, è spesso costretto a cambiare domicilio. Entrato poi in polemica con la redazione dei settimanali comunisti La Internacional e Ordine Nuovo per divergenze di vedute circa il caso di Francesco Ghezzi, l'anarchico condannato a tre anni di reclusione nell'Unione Sovietica per propaganda antinazionale, nel 1930 abbandona completamente gli ideali comunisti ed entra nel gruppo di "Umanità nova" capeggiato da Barbetti, all'interno del quale viene eletto segretario del Comitato anarchico pro vittime politiche italiane. Ritenuto pericolosissimo dalle forze dell'ordine, in questo periodo è in contatto con la redazione de L'Italia del popolo, quotidiano italiano comunista di Buenos Aires, e le autorità rintracciano il suo nominativo nelle carte sequestrate a Severino Di Giovanni; viene quindi iscritto in «Rubrica di frontiera» per il provvedimento di fermo, perquisizione e segnalazione. Al momento della presa del potere da parte del generale José Félix Uriburu nel settembre 1930, fugge dall'Argentina e si rifugia a Montevideo, in Uruguay, assieme ai compagni di fede Aldo Aguzzi e Giacomo Barca, venendo ospitato dal locale sindacato degli operai. Qui collabora con la rivista Studi sociali pubblicata da Luigi e Luce Fabbri.
Segnalato nel «Bollettino delle ricerche» nel marzo 1931 perché sospettato di aver partecipato moralmente agli attentati dinamitardi di matrice anarchica avvenuti negli ultimi anni, viene rintracciato, arrestato e recluso nel carcere federale argentino di Villa Devoto. In tale circostanza la LIDU si attiva per evitare la sua espulsione e quella di altri anarchici italiani, ma inutilmente. Imbarcato coattivamente sulla nave da guerra Chaco il 13 febbraio 1932 assieme a oltre un centinaio di persone di diverse nazionalità espulse dall'Argentina in quanto indesiderabili, tra cui ventiquattro italiani, viene consegnato alla polizia all'atto dello sbarco a Napoli avvenuto il 23 marzo successivo. Tradotto a Cosenza, la locale CP, con ordinanza del 20 giugno, lo assegna al confino per cinque anni destinandolo a Ponza (LT).
In colonia riesce a mantenere i contatti con gli anarchici argentini, come risulta dalla revisione della corrispondenza; la polizia gli sequestra infatti alcune lettere tra le quali quella spedita da Miguel Monano, che aveva fatto pervenire alla madre di Cortese un sussidio da parte dei compagni di Buenos Aires.
Il 1° aprile 1937 viene liberato per fine periodo, ma su di lui continua a essere esercitata una sorveglianza rigorosissima. Iscritto nell'elenco delle persone pericolose da arrestare in determinate contingenze, il 27 marzo 1939 viene fermato in occasione della visita del duce, venendo rilasciato dopo qualche giorno. Negli anni seguenti, pur conservando inalterate le proprie idee, non dà più luogo a rilievi di natura politica. 
Il 7 settembre 1941 sposa Rosina Cortese, e il 24 ottobre 1942 viene alla luce il figlio Domenico che vive solo 10 giorni. Un anno dopo, il 17 ottobre 1943, nasce la figlia Maria Teresa. Il 15 febbraio 1950, durante un suo ricovero a Roma per un tumore al rene, a Lungro nasce il figlio a cui viene dato il nome di Domenico.
Tornato attivo nel dopoguerra, Salvaturi Piliviut, come è chiamato in paese, lascia definitivamente la politica, preferendo la lettura e il lavoro di commerciante.
Muore a Lungro a soli 52 anni per un tumore al rene. I suoi funerali si svolgono con rito civile. (Katia Massara) © ICSAIC 2023 – 03 

Nota bibliografica

  • Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, diretto da M. Antonioli., G. Berti, S. Fedele, P. Iuso, BFS, Pisa 2003-2004, ad vocem e ad indicem;
    «Volontà», nn. 1-3, 1955;
  • Salvatore Carbone, Un popolo al confino. La persecuzione fascista in Calabria, Lerici, Cosenza 1977 (poi Brenner, Cosenza 1989), ad vocem;
  • Katia Massara, L’emigrazione sovversiva. Storia di anarchici calabresi all’estero, Le Nuvole, Cosenza 2003, pp. 27-29 e 38n-39n;
  • Domenico Cortese, Salvatore CorteseUn antifascista arbëresh di Lungro, Masino, Lungro 2007;
  • Luigi Fabbri, Epistolario ai corrispondenti italiani ed esteri (1900-1935), a cura di R. Giulianelli, BFS, Pisa 2005, p. 295; 
  • Katia Massara e Oscar Greco, Rivoluzionari e migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi, BFS edizioni, Pisa 2010, ad nomen.

Nota archivistica

  • Archivio Centrale dello Stato, CFP, b. 286, cc. 196, 1932-1937; 
  • Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, b. 1491, f. 19131, cc. 105, 1926-1942; S 13A, b. 5, f. 24, 1933 e 1939.

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