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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Bona, Vincenzo

Vincenzo Bona (Catanzaro, 31 marzo 1833 – Napoli, 28 aprile 1909)

Avvocato, patriota e giornalista, nacque dall'avvocato Francesco e da Donna Teresa Catanzaro. Studiò a Catanzaro e quindi per frequentare l’Università si trasferì a Napoli dove nel 1853 conseguì la laurea in Giurisprudenza. Esercitò subito la professione forense nella sua città. Nel maggio 1857 sposò Donna Franceschina Berni Canani figlia del conte Stefano, dalla quale ebbe due figli: Patrizia e Francesco.
Era nipote di un vecchio Carbonaro del 1820, che dal «Gran Concistoro» di Catanzaro aveva diffuso le idee liberali in tutte le "vendite" carbonare calabresi.
Ancora giovane partecipò all'insurrezione del 1848, che ebbe il suo epilogo nella battaglia del Ponte delle Grazie. Tenne attiva corrispondenza coi profughi calabresi e andava a Napoli per mantenere deste le patriottiche speranze: gli furono intimi Francesco Stocco, Luigi Caruso, Giovanni Nicotera, Luigi Miceli, Benedetto Musolino, i De Riso, De Luca, Assanti, Pepe ed altre glorie nostre. Tenne intensa corrispondenza con Fabrizii, con Miceli, con Bixio.
Il patriottismo calabrese ebbe fra le sue schiere giovani di cuore, di entusiasmo, d'azione, e i maggiori all’amore di patria non disgiunsero quello degli studi. Fra questi Bona, il quale esercitò a Catanzaro la professione di avvocato, con fortuna e con onore: presiedette il Consiglio dell'Ordine degli avvocati; tenne cattedra di diritto e procedura penale e di diritto amministrativo nelle scuole universitarie di Catanzaro per 24 anni – mantenendola all'altezza in cui l'avevano portata Giacinto Oliverio, Antonio Jannoni, Francesco Laratta, Bernardino Grimaldi – e per 27 anni rappresentò il mandamento di Santa Severina e fu membro della Deputazione provinciale, anche al tempo in cui la presiedette Bernardino Grimaldi, al tempo cioè in cui la vita pubblica catanzarese era nelle mani di uomini passati alla storia. Anche lui fu presidente del Consiglio provinciale.
Altruista, destinò sé e il suo patrimonio al bene del paese. Con questo sacrificio continuo e con la facondia del suo dire – giacché era oratore eloquentissimo – egli poté trascinare le masse per la sua via.
Temperamento sempre ribelle a ogni imposizione e ingiustizia, patì lunghe avversità. Il prof. G. B. Caruso disse: «Quei generosi sdegni, quelle impazienze perigliose, quegli impeti irrefrenabili, erano divenuti moti istintivi dell'animo suo; e in ogni contingenza della vita, era sempre un irrequieto, un agitatore, un cospiratore, un lottatore gagliardo. Gliene vennero amarezze infinite; parve facilmente mutevole: suscitò tempeste di polemiche; ma rimase saldo; saldo, e soprattutto ammirato per acume di mente, per fertilità di mezzi di lotta; per tenacia, per rettitudine».
Fondò, tra i primi, alcuni giornali, che in Calabria videro la luce per combattere le battaglie a sollievo della regione nostra. I suoi articoli (vedi il trisettimanale Nuovo Periodo, fondato nel 1867, continuazione di Il Cittadino calabrese, un bisettimanale che aveva visto la luce tre anni prima, il 24 giugno 1864: di entrambi fu proprietario e direttore) erano fuochi di fila nelle lotte feconde che si combattevano in quel periodo importante della vita pubblica catanzarese, e alla quale partecipavano i migliori uomini d'un'epoca feconda d'ingegni altissimi e di patrioti autentici.
Scriveva elegantemente e le sue colonne stampate si leggevano con interesse per gli argomenti che trattava e si leggevano con piacere per le arguzie che usava: attaccò sempre con violenza coloro i quali mantenevano fede allo scacciato sovrano e coloro i quali non sostenevano le idee della Sinistra storica.
Il Bona fu un mazziniano convinto – Giuseppe Mazzini l’ebbe a fianco fedelmente, e gli volle bene – né cambiò mai nel suo intimo la sua fede sincera. 
Di lui è stato scritto: «La ribellione essendo nella sua natura pugnace, eccolo coinvolto coi pochi audaci per i tentativi di Aspromonte, eccolo pronto a rinunziare sdegnosamente il pingue ufficio di ricevitore generale di finanza, per non essere impiegato di quel triste governo, che aveva osato fermare e ferire Garibaldi: eccolo pubblicare il Nuovo Periodo che sembrerebbe audace persino ai giorni nostri, tanto fragore di battaglia e di violenza di linguaggio e larghezza di criteri democratici diffondeva per le nostre regioni».
Mori a Napoli all’età di 76 anni. (Luigi Aliquò Lenzi e Filippo Aliquò Taverriticon aggiornamenti) © ICSAIC 2023 – 03 

Pubblicazioni

  • Prose e versi necrologici per la morte del barone Alberto De Nobili cittadino catanzarese dei Mille di Marsala, Asturi, Catanzaro 1867;
  • L'amministrazione provinciale della media Calabria, Catanzaro 1871;
  • Per il trasporto da Napoli a Cardinale della salma di Francesco De Luca. Discorso, Catanzaro 1875;
  • Relazione della deputazione provinciale della Calabria ultra seconda nell'amministrazione 1897-1898,Catanzaro 1899.

Nota bibliografica

  • Luigi Aliquò Lenzi e Filippo Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, Vol. I, Tip. Ed. Corriere di Reggio, Reggio Calabria 1972, pp. 140-141;
  • Claudio Ruga e Renato Caroleo, La storia di Catanzaro in … 365 giorni da ricordare. Avvenimenti, personaggi, opere dalle origini ai tempi nostri corredati da curiosità fotografiche, Tipolitografia Modugno, Catanzaro 2001;
  • Carmela Galasso, Biografie di personaggi noti e meno noti della Calabria, Pellegrini, Cosenza 2009, p. 80.

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