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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Vaccaro, Francesco

Francesco Vaccaro  (Cosenza 18 marzo 1900 - 26 agosto 1977)

Ultimo di dodici figli, nacque da Luigi, avvocato, e da Giuseppina Mosciaro, proveniente da una famiglia arbà«reshe di antica nobiltà . Rimasto orfano di padre, frequentò il Convitto Nazionale B. Telesio di Cosenza, conseguì la licenza liceale classica nell'omonimo istituto e nel 1923 la laurea in legge presso l'Università  di Messina. Nel giugno 1925 sposò Giselda Carratelli da cui ebbe tre figli: Paola (1926), Carlo (1928) e Vittoria (1932).
Si dedicò all'avvocatura subito dopo la laurea, entrando a far parte dello studio legale di Pietro Mancini e poi aprendo un suo studio in Cosenza. Nei primi anni di attività  professionale aprì uno studio anche in Soveria Mannelli, presso la cui Pretura aveva ottenuto un importante successo professionale e dove nei successivi quaranta anni si recò settimanalmente, tanto che negli anni Sessanta gli fu conferita la cittadinanza onoraria.
Fu autore di un libro intitolato Avvocati Giuristi e Magistrati Cosentini, pubblicato nel gennaio 1934 sotto gli auspici della Commissione Reale dell'Ordine degli Avvocati di Cosenza, allora presieduta dall'avv. Tommaso Corigliano. Il volume contiene le note biografiche di 141 giuristi, da Rinaldo D'Aquino (sec. XIII) a Raffaele Conflenti (sec. XIX) e si chiude con due appendici riguardanti rispettivamente «Il Palazzo di Giustizia di Cosenza » (il palazzo Arnone sul colle Triglio) e «Gli avvocati di Cosenza e la Congregazione di S. Ivone » (il santo protettore degli avvocati).
Nel 1946 fondò una rivista giuridica trimestrale, «Il Foro Cosentino », che raccoglieva articoli, sentenze, commenti e note sui più disparati argomenti giuridici. La rivista, stampata e distribuita gratuitamente e interamente a sue spese, restò in vita per quaranta anni e cessò le pubblicazioni nel 1976, un anno prima della morte del suo fondatore.
Già  nel 1920, quando era ancora studente universitario, aveva aderito al Partito Socialista, manifestando da subito la sua convinzione che il socialismo non poteva prescindere dalla libertà  e dalla democrazia e sostenendo questa sua tesi in un articolo del 1923, pubblicato nell' «Avanti! » allora diretto da Pietro Nenni. Per tale sua fede politica, cui non abdicò mai, fu costantemente perseguitato dal fascismo. Nel 1924, poco dopo il delitto Matteotti e nel corso dello stesso anno in cui i fascisti uccisero Paolo Cappello (14 settembre), all'uscita dal Tribunale, dove aveva ottenuto la condanna di alcuni fascisti imputati di varie violenze, fu aggredito e manganellato da tre squadristi, uno dei quali, un ufficiale della milizia, era tra i condannati.
Nel Casellario Politico Centrale presso l'Archivio Centrale dello Stato sono conservati ben 37 documenti che lo riguardano in un periodo compreso tra l'ottobre 1925 e il marzo 1942. Si tratta prevalentemente di informative che la Prefettura forniva periodicamente al Ministero dell'Interno - Direzione Generale della Pubblica Sicurezza - Servizio Schedario, sull'attività  svolta dal "sovversivo". Nella prima di queste informative, datata 12 ottobre 1925, si legge tra l'altro che era «redattore responsabile » del giornale «La Parola Socialista » e corrispondente dell' «Avanti! ». Gli si dà  atto che è «capace di tenere conferenze » e che è «dotato di molta prontezza e non lascia sfuggire occasioni per fare propaganda al suo partito ». Apprendiamo inoltre che era in quel tempo segretario della federazione provinciale del «Partito socialista massimalista » (sic!, non esisteva un partito letteralmente così denominato). La nota firmata dal Prefetto conclude che Vaccaro «per l'azione che svolge come propagandista è da ritenersi pericoloso e come tale viene attentamente vigilato ». Da una seconda informativa, datata 21 gennaio 1927, nella quale viene definito «avvocato socialista massimalista » (sic!), apprendiamo che fu proposto per l'ammonizione il 27 novembre 1926 e che il successivo 2 dicembre la Commissione Provinciale, ritenuto di non emettere il provvedimento proposto, rinviò gli atti alla Pubblica Sicurezza circondariale «perché … sia diffidato ». E infatti il 16 dicembre successivo venne diffidato «ad astenersi da qualsiasi azione che possa portare nocumento all'ordine nazionale ». Le successive note prefettizie, dal febbraio 1930 al marzo 1942, si limitano a informare che, pur non più occupandosi di politica attiva e pur non dando luogo a «rimarchi con la sua condotta morale e politica », conservava sempre le proprie idee socialiste e veniva costantemente sottoposto a vigilanza.
Più specificamente, nel novembre 1926, nell'immediatezza dell'attentato a Mussolini avvenuto in Bologna il 31 ottobre 1926 e attribuito ad Anteo Zamboni, fu incarcerato insieme a molti altri antifascisti cosentini: Mancini, Gullo, Montalto, Martire, Adami, La Camera e altri. Dopo diversi giorni di carcerazione furono portati davanti alla commissione provinciale composta dal Prefetto, dal Procuratore del Re, dal Questore e dal Console della milizia fascista. Alcuni furono confinati (Mancini, Gullo, Martire, Montalto, La Camera), altri ammoniti e altri, tra cui Vaccaro, soltanto diffidati, come abbiamo visto.
In numerose occasioni nel corso del ventennio fu manganellato da squadristi fascisti e subì varie persecuzioni, tra cui devastanti incursioni nel suo studio, sebbene la sua attività  politica si fosse ormai forzatamente ridotta a riunioni clandestine che si tenevano in luoghi privati e molto spesso nel retrobottega della farmacia del dott. Alfredo Berardelli, dove discuteva di attualità  politica e ascoltava Radio Londra insieme ad altri antifascisti, tra i quali Florindo De Luca, i fratelli Luigi e Muzio Graziani, Annibale Mari, Luigi Nicoletti, Pietro Mancini, Eugenio Martorelli, Enrico Pappacoda, Alberico Talarico, Dionigi Tucci e Vittorio Vercillo.
Nel novembre 1942 con Florindo De Luca, altro socialista inflessibilmente antifascista e suo amico fraterno fin dai tempi universitari, si incontrarono al corso Plebiscito con Nino Woditska, un antifascista dalmata, membro del Partito d'Azione, il quale era stato inviato a Cosenza in missione segreta e, con la scusa di una inesistente tubercolosi, si era fatto ricoverare presso la clinica Marulli. Fu questo il primo nucleo del Comitato di Liberazione cosentino, la cui prima denominazione fino al dicembre 1943 fu «Fronte Unico per la Libertà  ». I primi membri del Fronte furono, con i socialisti Vaccaro e De Luca, il comunista Fausto Gullo, l'anarchico Nino Malara e il popolare Luigi Nicoletti. Nel settembre 1943 le truppe alleate entrarono in Cosenza e il 20 novembre Vaccaro fu designato dal governo militare alleato alla carica di Commissario prefettizio (prefetto era Pietro Mancini), carica che mantenne fino al 9 aprile 1946 (con il titolo di sindaco dall'11 febbraio 1945).
Nell'assumere l'amministrazione si rivolse ai suoi concittadini con un proclama, nel quale dichiarava di aver «accettato il grave compito senza trepidazione e senza perplessità  perché in quest'ora difficile è necessario che ciascuno di noi contribuisca alla soluzione dei più urgenti problemi con spirito di abnegazione e sacrificio ». La sua attività  amministrativa fu dedicata quasi esclusivamente ad affrontare la gravissima emergenza, dato che, come affermava nel sopra citato proclama, «tutto è da riorganizzare; molte cose sono da rifare, ogni servizio deve essere rigorosamente adeguato alle necessità  attuali, eliminando, senza esitazione, ogni ostacolo ed ogni superata mentalità : dall'annona all'ufficio tecnico, dalle finanze allo stato civile, dall'igiene al corpo dei vigili ». E a tale compito si dedicò con volontà  tenace e inflessibile, con serena obiettività  e con profondo sentimento di amore per la città . E non senza rischi personali, giacché in almeno un'occasione la fame e la mancanza di lavoro spinsero la popolazione a occupare il palazzo municipale, allora in corso Telesio, minacciando atti violenti.
Ma tra le sue doti v'erano senz'altro la tenacia e una volontà  ferrea, che gli consentirono non solo di far fronte, come meglio difficilmente si sarebbe potuto in quelle circostanze, ai doveri dell'amministrazione pubblica e all'attività  politica, ma anche di dedicarsi in quegli stessi anni e nei successivi ad altre attività  e iniziative di interesse cittadino, oltre che alla professione di avvocato penalista e ciò anche a dispetto di una malattia che, a partire dai primi anni Cinquanta, limitò sempre più la sua capacità  di deambulazione.
Nel 1945, quale sindaco della città , collaborò con Nicola Serra nella promozione di corsi universitari da tenersi in Cosenza con l'intento di pervenire successivamente alla fondazione di vere e proprie facoltà  universitarie e nel 1947 promosse il «Circolo di Cultura Città  di Cosenza » insieme a Nicola Serra (presidente), Michele De Marco (alias Ciardullo), Giuseppe Carrieri, Francesco Chiappetta, Francesco d'Andrea, Mario Misasi, Giuseppe Picciotto, Luigi Rodotà . Dal 1944 al 1945 diresse anche il «Bollettino della Società  di Storia Patria per le Calabrie ».
Nel 1946 fu eletto consigliere comunale tra le file del Partito Socialista Italiano con ottimo risultato elettorale (circa 2000 preferenze). L'anno successivo aderì alla scissione voluta da Giuseppe Saragat e si iscrisse al Psli (poi Psdi). Rimase in consiglio comunale fino al 1961.
Negli anni successivi ebbe diversi incarichi pubblici: consigliere di amministrazione dell'Opera Valorizzazione Sila (Ovs), segretario del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Cosenza; membro perpetuo dell'Accademia Cosentina e, nel corso degli anni Sessanta, prima sindaco e poi vicepresidente della Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania.
Francesco Vaccaro morì a Cosenza a 77 anni. Cosenza lo ricorda con una piazza a lui intestata. (Vincenzo Scirchio) © ICSAIC 2020

Opere

  • Francesco Vaccaro, Avvocati Giuristi e Magistrati Cosentini (dal 1200 al 1800), Edizioni V. Serafino, Cosenza 1934.
  • Il foro cosentino in memoria dell'avv. Vincenzo Valentini (a cura di), D. Chiappetta, Cosenza 1939.

Nota bibliografica

Nota archivistica

  • Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, b. 5277, f. 014551.

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