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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Giudiceandrea, Giovambattista Tommaso

Giovambattista Tommaso Giudiceandrea [Calopezzati (Cosenza ) 24 giugno 1931 - Cosenza, 28 aprile 2015]

Trascorre la sua infanzia a Rossano, dove la sua numerosa famiglia - composta dai genitori Edoardo e Angelina e dai fratelli Giuseppe, Epifanio, Fausto, Nella, Maria e Andrea (il più piccolo, che morirà  per avere ingoiato delle pillole di chinino) - si era stabilita intorno al 1936 dopo il fallimento della Cassa rurale di Calopezzati della quale suo padre era uno dei fondatori.
Sin da piccolo è un osservatore curioso del mondo e ben presto comincia a rendersi conto delle diseguaglianze sociali che dominano la sua realtà  e condizionano la vita di molti suoi conoscenti: «Ero solo un bambino, ma avvertivo chiaramente che a quella gente era riservato un destino assai ingiusto », scriverà  infatti in seguito. Ad alimentare in lui i primi dubbi sul regime fascista saranno anche i ribelli etiopi confinati a Longobucco, dove, in casa del nonno, medico condotto, trascorre le sue estati; «Attraverso i confinati e le loro storie giungevano a noi ragazzi, e non solo a noi, fatti che ci davano la sensazione, sia pur vaga, che il fascismo non doveva essere tanto perfetto e forte come voleva apparire, se aveva tanti oppositori ».
Nel 1940 si trasferisce con la famiglia a Garian, in Libia, dove si era stabilito suo padre arruolatosi come volontario nell'esercito italiano e dove il piccolo Giovambattista Tommaso rimarrà  fino all'anno successivo, per poi tornare a Rossano dove completerà  i suoi studi conseguendo la maturità  classica. Sempre a Rossano si avvicina al Pci, che vi aveva aperto una sezione nel 1944 frequentata dal fratello Giuseppe, alla quale Giovambattista si iscriverà  nel 1948, non ancora diciottenne. Evidentemente viene subito notato dai funzionari di partito, tanto che nell'estate di quell'anno viene incaricato dalla Federazione comunista cosentina di costituire la sezione della Federazione giovanile, della quale sarà  poi il primo segretario. Decide allora che quella è la sua strada e nel 1950 rinuncia a proseguire gli studi in giurisprudenza provocando nella sua famiglia sgomento e preoccupazione, accanto alla segreta speranza che il suo sia solo un fuoco di paglia destinato ben presto a spegnersi.
Concepiva allora la politica - e così continuerà  sempre a considerarla - «come un impegno di partecipazione alle lotte, in quegli anni assai acute, per affermare i principi di pace, di libertà  e di emancipazione che mi sembravano e mi sembrano tuttora tanto impellenti ed irrinunciabili ».
In Federazione conosce Rita Pisano, già  affermata dirigente del partito, che sarà  sua compagna di vita e di lotta. Intanto, viene mandato dal partito alla Scuola centrale della Fgci di Milano, che frequenta tra il 1950 e il 1951. A Cosenza vive assieme ad altri compagni nei dormitori dello stabile occupato dalla Camera Confederale del Lavoro e consuma i pasti alla mensa popolare di Viale Trieste, in una condizione di «dignitosa povertà  » accettata senza rimpianti. Lavora instancabilmente tentando di costituire una sezione della Fgci in ogni paese della provincia nel quale è presente una sezione del partito e subisce intanto i primi arresti per avere partecipato a manifestazioni non autorizzate (come avviene nel 1951, quando, in occasione dell'arrivo a Cosenza di un battaglione di soldati di leva, viene fermato mentre distribuisce manifestini pacifisti assieme a Rita Pisano e rimane in carcere per un paio di giorni) e per avere organizzato comizi e raccolte di firme contro la guerra e le bombe atomiche, per il disarmo e l'applicazione dei decreti Gullo; proprio in questo periodo, con i contadini della Presila, esasperati dall'arroganza dei proprietari e dalla sete di giustizia, organizza una «marcia della fame » che fa affluire a Cosenza centinaia di contadini con a capo una delegazione composta da tutti i sindaci comunisti della zona.
Intanto il suo rapporto con Rita Pisano si rafforza, tanto che i due si sposeranno con rito civile nel Municipio di Pedace il 16 gennaio 1954. La loro unione, dalla quale nasceranno Angelina Ethel (la primogenita, chiamata poi semplicemente Ethel in onore della Rosenberg giustiziata negli Stati Uniti assieme a suo marito con l'accusa di essere una spia sovietica), Maria, Andreina, Edoardo Antonello, Agatina Sandra e Giuseppe, sarà  lunga e felice. Con sua moglie Giovambattista condividerà  affetti, amicizie e passione politica, vivendo un'intesa profonda che li vedrà  sempre insieme anche di fronte alle scelte più difficili. Il matrimonio viene subìto dalla famiglia Giudiceandrea, che non crede in quell'unione e che crede che essa possa significare per il ragazzo la rinuncia definitiva alla laurea. Quell'iniziale opposizione dei suoi familiari gli provoca una grande amarezza, assieme a una «sensazione di slealtà  verso le persone che mi appartenevano, che mi amavano e che amavo » e dalle quali - tuttavia - «dovevo acquistare una autonomia che la vita impone a tutti ». I primi tempi sono particolarmente duri, anche sotto l'aspetto economico; lui e Rita condividono una modesta abitazione, ricavata da alcuni locali della Camera del Lavoro, con una coppia di compagni marchigiani, Ferdinando (detto Nino) Cavatassi e Maria Santiloni. In questo periodo Tommaso (come veniva generalmente chiamato) lascia la guida della Fgci e fa il suo ingresso nel Comitato federale comunista provinciale.
Nel 1956, dopo la celebrazione del XX Congresso del PCUS, le rivelazioni di Chruscev e la speranza della destalinizzazione, arrivano l'invasione della Cecoslovacchia e le repressioni sovietiche seguite alla rivolta polacca e a quella ungherese, che i due coniugi vivono in maniera diversa: mentre lei continua ad avere fiducia nel partito, lui comincia a nutrire le prime perplessità  sul sistema e sulla gestione del potere comunista, tanto da cominciare a mettere in dubbio anche il suo ruolo di funzionario di partito e a pensare che il socialismo «se non si fosse rinnovato sarebbe crollato ». Tuttavia prosegue nel suo impegno e nel 1963 sostituisce Gino Picciotto, eletto alla Camera dei deputati, alla guida della Federazione comunista cosentina. Divenuto segretario, l'anno successivo lascia l'incarico di consigliere provinciale e, assieme ai compagni del gruppo comunista, occupa la sede del Consiglio comunale di Cosenza, venendo denunciato, rinviato a giudizio e quindi assolto - assieme a Franco Ambrogio e a Giuseppe Carratta - dall'accusa di avere esposto su un edificio pubblico la bandiera di uno Stato straniero, che era invece quella rossa della Federazione provinciale del Pci.
Nel 1967 si dimette dall'incarico di segretario per concedersi quello che lui stesso definisce «un periodo di "riposo" », durante il quale riprende gli studi per partecipare al concorso magistrale, che sostiene e supera risultando primo fra circa diecimila candidati grazie al diploma magistrale ottenuto nel 1949; «quel titolo di studio - rifletterà  successivamente - che allora mi sembrava aggiuntivo e superfluo, ma che 27 anni dopo si rivelò utilissimo quando mi trovai a decidere di interrompere il mio rapporto di funzionario di partito ».
Il suo impegno si volge quindi verso la costituzione del sindacato della scuola sotto la sigla della Cgil, che in pochi mesi raccoglie centinaia di adesioni. Inizia a svolgere il suo nuovo lavoro di maestro elementare nell'autunno del 1965. Insegna in piccole frazioni dei comuni di Longobucco, Aprigliano e Acri, dove sperimenta metodi pedagogici moderni prima che gli venga assegnata una cattedra a Cosenza, dove sceglie la sede del «Villaggio del Fanciullo », un centro che ospitava bambini appartenenti a famiglie in difficoltà  con annessa scuola elementare; contemporaneamente, inizia a preparare i candidati alla prova scritta del concorso magistrale.
I rapporti con il partito, intanto, diventano sempre più freddi e viene estromesso da tutti gli organismi dirigenti, così come sua moglie negli stessi anni. Il culmine viene raggiunto nel 1975, quando entrambi vengono espulsi per essersi opposti alla non riconferma di Rita Pisano come candidata sindaco alle elezioni amministrative del comune di Pedace. Lo scontro con la Federazione cosentina porta al distacco della sezione pedacese - che sosteneva la Pisano - dal partito e alla nascita del Movimento per il volto umano del comunismo, che nel nome e nei propositi si rifaceva all'esperimento di democrazia socialista tentato da Alexander Dubcek durante la primavera di Praga.
Rimasto vedovo nel gennaio 1984, si risposa dopo qualche anno, con il consenso dei figli, con Nina Radoni, figlia di una sorella di Rita, che aveva vissuto sin da piccola in casa Giudiceandrea dopo essere rimasta orfana di padre. Nel 1988 viene eletto sindaco di Calopezzati e guida una coalizione che comprende comunisti e socialisti; riconfermato, rimane in carica fino al 1997. Durante i suoi mandati svolge un'intensa azione di razionalizzazione e miglioramento dei servizi, di costruzione di opere pubbliche e risanamento dei bilanci comunali, riservando al tempo stesso una grande attenzione al rispetto dell'ambiente e ai diritti di tutti i cittadini.
Favorevole alla svolta della Bolognina, promuove un'azione di sostegno al progetto di Achille Occhetto, aderisce al Pds e partecipa al congresso della provincia di Cosenza, occasione durante la quale viene reintegrato negli organismi dirigenti. Negli ultimi anni continua a scrivere su diverse riviste, si dedica al rilancio dell'attività  del partito nel rossanese e partecipa intensamente alla vita di varie associazioni culturali, nonostante le sue precarie condizioni di salute. Prima di morire, lascia ai suoi figli una raccolta di lettere in due volumi, una sorta di testamento spirituale nel quale ripercorre la sua vita raccontandosi con grande sincerità .
La sala Consiliare del comune di Calopezzati porta suo nome (Katia Massara) © ICSAIC 2020

Opere

  • Lettere ai figli, Calabria Letteraria Editrice, Soveria Mannelli 1998;
  • Lettere ai figli 2a parte, , Associazione Culturale Brutium, Cosenza 2012;
  • Idee per la Sinistra. Antologia di scritti, Progetto 2000, Cosenza 2019.

Nota bibliografica

  • Espulsi dal Pci, «Il Giornale di Calabria », 20 aprile 1975;
  • Morto  Giovanbattista Tommaso Giudiceandrea,   «NuovaCosenza.com », 28 aprile 15 (http://www.nuovacosenza.com/politica/15/apr/28/giudiceandrea.html).

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