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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Pucci Vincenzo

Vincenzo Pucci (Amendolara (Cosenza), 22 luglio1865 – Roseto Capo Spulico (Cosenza),  27 novembre 1931)

Nacque da Giorgio e Enrichetta De Masi. Il padre, appartenente a un nobile casato napoletano approdato nel piccolo centro jonico alla fine del Settecento, fu un uomo di legge assai rispettato per la sua oratoria. Di idee liberali, a soli 16 anni partecipò, assieme ad altri suoi concittadini, ai moti del ’48, il cui fallimento procurò seri guai giudiziari e dure conseguenze ai suoi protagonisti. Con la costituzione del Regno d’Italia, riprese l’attività politica divenendo Capitano della Guardia nazionale del suo paese e consigliere provinciale del mandamento di Amendolara.

Primogenito della famiglia, il piccolo Vincenzo, dopo il corso elementare al suo paese frequentò la Scuola Normale di Matera, dove nel 1888 conseguì la patente di maestro del grado inferiore. Nel 1893 a Bari conseguì quella del grado superiore e nel 1909 a Roma l’abilitazione all’ufficio di direttore didattico nelle scuole elementari pubbliche. Insegnò nei Comuni di Trebisacce e di Amendolara prima di trasferirsi nel 1894 a Roseto Capo Spulico, dove rimase fino al pensionamento. Qui contrasse matrimonio con la gentildonna Maria Lillo, figlia del farmacista e segretario comunale del paese, dalla quale ebbe tre figli: Enrichetta (1897), Antonietta (1898) e Giorgio (1899), quest’ultimo maestro elementare per un breve periodo e poi, auspice il fascismo, dipendente del Ministero degli Interni e, successivamente, nominato Prefetto di una provincia del Nord Italia.

Di idee liberali, come nella tradizione di famiglia, il maestro Pucci fu un acerrimo avversario della politica di Giolitti, accusato di clientelismo soprattutto nel Mezzogiorno. Nelle sue corrispondenze al Il Moto, rivista dichiaratamente antigiolittiana dei fratelli Saraceni di Castrovillari, denunciò apertamente il malaffare del politico piemontese.

Fu assai attivo nella vita sociale rivestendo il ruolo di giudice conciliatore e, con l’avvento del fascismo, quello di Segretario della sezione locale del fascio. Fu anche animatore dell’Associazione “Pro Roseto”, nata per denunciare i problemi più urgenti della comunità, e negli anni della grande guerra, in qualità di Presidente del locale Comitato Civile, prestò assistenza morale agli orfani di guerra e alle famiglie dei combattenti e resse l’ufficio di informazione dei feriti e dei prigionieri di guerra. Fece attiva propaganda per il V° Prestito nazionale meritandosi lusinghieri apprezzamenti. Fu anche benemerito della Croce Rossa.

Esercitò l’attività di giornalista come corrispondente di varie testate locali e nazionali, tra cui, oltre a Il moto, anche Il popolano di Corigliano, Il Mattino di Napoli, il Giorno di Milano e, soprattutto, Cronaca di Calabria di Cosenza. La collaborazione con quest’ultima testata fu intensa e si protrasse per quasi tre decenni. Le corrispondenze riguardavano fatti di cronaca e denunce di disservizi (nelle poste e nel Comune), portati all’attenzione delle autorità e della comunità con commenti misurati e finalizzati al bene comune. Attento alle problematiche dei cittadini, fu particolarmente incisivo nella campagna comunicativa contro l’epidemia di meningite scoppiata nel 1904, che valse a responsabilizzare le autorità comunali e provinciali e a limitare i danni tra la popolazione, soprattutto infantile.

Dal punto di vista scolastico Pucci si distinse per competenza, spirito di iniziativa e impegno didattico. Nominato nel 1909 direttore della scuola comunale di Roseto, assolse al suo compito con diligenza e passione fino a che la scuola di quel comune non fu accorpata al circolo didattico di Montegiordano. Nei suoi quarant’anni di insegnamento diverse generazioni di giovani allievi, ma anche di adulti che frequentarono i corsi serali, festivi e per emigrati, appresero da lui le nozioni basilari del sapere che le affrancarono dalla piaga dell’analfabetismo che a quel tempo faceva della Calabria una delle regioni più analfabete d’Italia.

Fervente sostenitore dell’associazionismo, fu uno dei rappresentanti più attivi dell’Unione Magistrale Nazionale in Calabria e, quale responsabile per il mandamento di Amendolara, si distinse nell’azione di proselitismo tra gli insegnanti del circondario. Fu tra gli organizzatori del II° Congresso Magistrale Calabrese che si tenne a Cosenza dal 5 al 7 novembre 1908 sui temi più urgenti della scuola: analfabetismo, edilizia scolastica, legge sul Mezzogiorno, la donna in Calabria.

Assai stimato dalle autorità, strinse un particolare rapporto di collaborazione e di amicizia con gli Ispettori che si succedettero nel Circondario scolastico di Castrovillari-Cassano Ionio e, soprattutto, con l’ispettore Renato Moro, che lo propose nel 1910 quale componente del Comitato provinciale per la mutualità scolastica e dal quale ebbe un concreto sostegno nell’istituire nel 1911 la biblioteca scolastica di Roseto e nel dotarla di centinaia di volumi.

Particolarmente attento ai temi della scuola e alla difesa della classe magistrale, prese parte attiva dibattito sui provvedimenti più significativi di politica scolastica approvati nel primo decennio del Novecento. A cominciare da quello sullo stato giuridico dei maestri varato dal governo Nasi nel 1903. Dalle pagine de Il corriere delle maestre, il settimanale illustrato nato nel 1899 e durato oltre quarant’anni (1941), mise in rilievo l’importanza del provvedimento che dava dignità, sicurezza e prestigio sociale alla figura del maestro regolandone l’assunzione tramite concorso e garantendone il diritto alla retribuzione e a un trattamento pensionistico adeguato. L’altro argomento affrontato dal Pucci su diverse testate fu quello dell’avocazione allo Stato dell’istruzione elementare. Su “Il Giorno” di Milano e su La Tribuna di Roma l’insegnante calabrese espresse il suo pensiero favorevole al provvedimento sin dalle prime richieste di avocazione avanzate già nel 1906 nell’ambito della discussione della legge sui provvedimenti a favore del Mezzogiorno e delle Isole, insistendo sull’idea che il passaggio dell’istruzione di base allo Stato avrebbe favorito il carattere laico e moderno di essa.

Seguì con attenzione il dibattito successivo fino all’approvazione della legge Daneo-Credaro del 1911 esprimendo in più occasioni il suo parere favorevole sulla riorganizzazione complessiva del sistema d’istruzione elementare (scuole rurali, corsi popolari, edilizia scolastica) e magistrale (formazione dei maestri).

Numerosi furono i riconoscimenti che ottenne: Menzione onorevole per le sue benemerenze verso l’istruzione popolare (1900); Benemerenza dell’istruzione popolare con remunerazione di L. 75: “una distinzione - è detto nell’attestato ministeriale - che vuole essere un incoraggiamento a compiere il proprio compito con lo stesso zelo e operosità finora addimostrati nel delicato ufficio di pubblico educatore” (1902); diploma di benemerenza di terza classe con facoltà di fregiarsi della medaglia di bronzo per l’opera zelante ed efficace prestata a vantaggio dell’istruzione (1908).

Sempre presente e attivamente partecipe alle varie conferenze di aggiornamento professionale organizzate nella provincia, la scuola fu per lui una “missione”, come scrisse l’Ispettore De Solis, che ne lodò «la diligenza, il metodo, nonché la costumatezza, l’ordine, la disciplina e la prontezza dell’ingegno» sottolineando il prestigio che con la sua opera seppe dare alla classe magistrale. Solo negli ultimi anni d’insegnamento, minato da una grave malattia, fu costretto ad assentarsi frequentemente con evidente pregiudizio per l’efficacia educativa e didattica. In pensione dall’ottobre del 1931, agli inizi dell’anno successivo morì. (Giuseppe Trebisacce). © ICSAIC 2024 – 01

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Scritti

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  • Sue corrispondenze da Roseto sono apparse su Cronaca di Calabria (1904-1931), Il Popolano (1903), Il moto (1906), Il Corriere delle maestre (1904), Il Giorno (1906), La Tribuna (1911).

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Nota bibliografica

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  • Luigi Scialdoni, Profili di educatori calabresi, Istituto Editoriale della scuola campana, Napoli 1926, pp. 179-181.

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