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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Mazzia, Angelo Maria

Angelo Maria Mazzia [Roggiano Gravina (Cosenza), 7 ottobre 1823 - Napoli, 22 gennaio 1891]

Figlio di Francesco Antonio e di Maria Raphaela Paladino, ebbe cinque sorelle. Nel gennaio del 1836 rimase orfano della madre e il padre si risposò, nel mese di ottobre dello stesso anno, con Maria Francesca Palermo.  Ancora ragazzo, a Roggiano, dopo i primi insegnamenti appresi al seguito del sacerdote Raffaele Graniti, ricevette una formazione umanistico-religiosa nella "Scuola Pia", per poi continuare lo stesso tipo di studi nel seminario vescovile di San Marco Argentano, sotto la guida dei religiosi don Gregorio Policastrello    e don Stefano Paladino (suo parente). Sin dai primi anni dell'adolescenza, pur applicandosi con interesse agli studi classici, Mazzia nel contempo rivelò una spiccata inclinazione artistica che lo spinse a esercitarsi con profitto, nelle discipline delle arti figurative.  
Da autodidatta, quindi, diede sfogo al suo talento artistico acquisendo le prime conoscenze tecniche ed espressive del disegno, della pittura e sul versante della scultura, per poi nel 1840 eseguire già  le sue prime opere giovanili sia per il clero locale che per quello di Morano Calabro. Fu allora che, grazie al generoso sostegno avuto da alcuni suoi concittadini, nel novembre del 1842, all'età  di diciannove anni,    prese la decisione di recarsi a Napoli per intraprendervi gli studi    artistici  al Reale Istituto di Belle Arti. Ben presto, però, dopo 8 mesi di ristrettezze economiche, in cui visse, su consiglio del direttore del regio Istituto di Belle arti, Antonio Niccolini, chiese un sostegno finanziario al Ministro Segretario di Stato degli Affari Interni, affinché potesse dare continuità  ai suoi studi. La supplica venne accettata e il governo borbonico, tramite l'Intendenza provinciale di    Cosenza, gli    fece concedere dal suo Comune una "pensione" annua di 6 ducati al mese, che poi però non riceverà  con regolarità  e per questo motivo, nel corso degli anni Quaranta, visse una vita di stenti.  
All'Istituto di Belle Arti, alla Scuola di Pittura, il giovane artista svolse l'apprendistato sotto la guida di Camillo Guerra e dei maestri di disegno Costanzo Angelini, Giuseppe Cammarano, Giuseppe    Mancinelli e Aniello D'Aloysio.  
Nel 1849, a causa delle precarie condizioni economiche in cui era costretto a vivere,    da Napoli    rientrò a Roggiano con lo scopo di ottenere questa volta una vera "pensione" per gli studi, da parte  del Consiglio dell'Intendenza  bruzia, che fortunatamente nel 1851 gli concesse un sussidio mensile di 12 ducati. A seguito poi, di questo provvidenziale sostegno finanziario deliberato a suo favore, nei primi anni Cinquanta, donò alla Deputazione Provinciale cosentina le opere raffiguranti:  Marco Aurelio Severino,  Bruno Amantea  e l'Omero  al sepolcro di Achille, nel quale dipinto (costruito in chiave classicistica) appare evidente il debito formativo verso la pittura del    Guerra. L'opera fu acquisita    dall'Ordine    degli avvocati della stessa città  bruzia, nella cui sede tuttora si custodisce. A Napoli, nel 1845, ancora studente, l'artista partecipò per la prima volta alla mostra Biennale borbonica con    il dipinto  La Madonna, esemplato da un omonimo soggetto mariano di Guido Reni; poi    a quella del 1848 espose l'opera    L'abate Gioacchino;    a quella del 1855    il  San Sebastiano dopo il Martirio  e infine all'edizione del 1859 fu presente con la tela l'Assunzione  della Vergine (Napoli, Cappella del Palazzo Reale) e con    la classicheggiante    Santa Cristina sorpresa dal padre mentre dispensa  ai poveri gli idoli d'oro infranti. Successivamente, sempre a Napoli, partecipò anche a due mostre della Società  Promotrice di Belle Arti: a quella del 1862 con    Il sangue    del Martire  (soggetto desunto dal Morelli)    e poi a quella del 1866 con il  Dante nella  bolgia  degliipocriti, che    vuole alludere alla fine di Firenze come capitale dello Stato Unitario.  
La pittura di Mazzia, che in massima parte fu influenzata dagli svolgimenti di matrice neoclassica del Guerra e del Mancinelli, pervenne a una propria riconoscibilità  stilistica, alcune volte mutuata anche da istanze puriste, con un linguaggio didascalico e visionario, traslato da un sentimento romantico ad alta soggettività  lirica ed espressiva, come per esempio suggerisce la tela della  Vergine Cristiana alle catacombe, 1860 ca. (Napoli, Avvocatura dello Stato).
Sposato ebbe un figlio di nome Emanuele, che nacque a Napoli nel 1867, al quale tra l'altro, nel 1873-1874, il pittore Giuseppe Cosenza, versatile anche nella poesia, dedicò un suo componimento poetico dal   titolo: «Ad    Em. lino Mazzia   (pel suo giorno di nascita - A Em.lino Mazzia, quando eravamo, la sua famiglia a Portici, io a Resina, 1873-4) »
Nel 1872 espose alla mostra di Brera, a Milano,    il  Dante che dalla Luce guarda Roma nelle  tenebre, il quale dipinto l'anno successivo fu presentato anche alla mostra universale di Vienna. L'opera, senz'altro fra le più significative della produzione del Mazzia, ebbe anche un benevolo giudizio critico (il 29 luglio del 1872), sul giornale partenopeo     «Il Piccolo », da parte di Luigi Settembrini.    Poi ancora nel 1877, con un bozzetto dello stesso soggetto dantesco, si fece apprezzare, di nuovo a Napoli, alla mostra    dell'Esposizione Nazionale. Fra gli    altri    soggetti ispirati al Sommo Poeta,    trattati dall'artista calabrese, è da ricordare anche il disegno  Dante e Beatrice  (coll. privata), eseguito nel corso della seconda metà  degli anni Sessanta, replicando il soggetto di una stampa incisoria, derivante a sua volta da un disegno di Ary Scheffer, pittore francese di ispirazione romantica. Mazzia si cimentò anche in opere da cavalletto, eseguendo vari ritratti di personaggi illustri, tra i quali: il  Ritratto di  Gian Vincenzo Gravina, 1847 (Roggiano, Amministrazione Comunale), quello del  Sacerdote Ferdinando Balsamo, 1853 (Roggiano, coll. privata) e il  Ritratto di T. Tasso,1850 ca. (Cosenza, biblioteca civica). Quest'ultimo dipinto, concepito con sentita fierezza romantica, è quasi una replica del disegno  Studio per il Tasso che si presenta alla sorella, del 1848, del Morelli (Torino, civica Galleria d'Arte Contemporanea). Un altro dei suoi  ritratti  più noti, resta quello del maestro Costanzo Angelini, 1852 ca. (Napoli, Galleria dell'Accademia); mentre al 1889 risale l'Autoritratto, assai lodato nel 1912 dal Frangipane, a Catanzaro, in occasione della prima Mostra d'arte biennale calabrese. L'opera è caratterizzata da un'espressione cupa e malinconica: come se l'artista avesse voluto comunicarvi una sorta di crisi esistenziale, mettendo in ombra anche la sua incondizionata fede in Dio.  
Nel 1860 Mazzia vinse il concorso per l'insegnamento del Disegno Elementare, nella Scuola di Disegno e Figura, al regio Istituto di Belle Arti di Napoli, riformando tale insegnamento con l'introduzione del disegno geometrico. Subito dopo, nel 1861, fu nominato Assistente del maestro Raffaele Postiglione, nella Scuola di Disegno e Figura. La sua attività  di docente di Disegno la svolse anche a Portici, sin dal mese di ottobre del 1872, nella locale Scuola Superiore d'Agricoltura. Nella cittadina vesuviana, tra l'altro, strinse anche amicizia con il pittore corregionale Giuseppe Cosenza.
Nel 1871, sul suo magistero d'insegnamento, pubblicò un opuscoletto    dedicato agli alunni del R. Istituto di Belle Arti partenopeo, il quale    verrà  poi    ristampato nel 1879, col titolo:  Sull'insegnamento elementare del Disegno, con l'aggiunta della  Relazione, dall'Annuario  della Reale Scuola Superiore d'Agricoltura di Portici. Nel 1879, l'artista per alcuni giorni ritornò a Cosenza, dove nel salone del Palazzo del Consiglio Provinciale, collaborò al fianco di Enrico Andreotti, per l'esecuzione pittorica di alcuni ritratti di personaggi storici.  
Morì a Napoli all'età  di 67 anni  (Tarcisio Pingitore)   © ICSAIC 2020

Nota bibliografica essenziale

  • Angelo De Gubernatis, Angelo Mazzia, in Dizionario degli artisti italiani viventi, fascicolo IV, Gonnelli Editore, Firenze 1890, p. 290.
  • Costanza Lorenzetti, L' Accademia di belle arti di Napoli: (1752-1952), Le Monnier, Firenze, 1953, p. 124.
  • Isabella Valente, Angelo Mazzia, in Le forme del reale, in F. C. Greco, M.A. Petrusa, I. Valente, La pittura napoletana dell'Ottocento (a cura di F. C. Greco), T. Pironti editori, Napoli, 1993.
  • Francesco Guzzolino, Angelo Maria Mazzia: pittore simbolista culturale della scuola napoletana dell'800, Roggiano Gravina CS), Postorivo editore, 1994.
  • Gianluca Berardi, Mazzia Angelo, in Pittori & Pittura dell'Ottocento Italiano, Volume secondo, Dizionario degli Artisti, Edizioni Istituto Geografico, De Agostini, Novara, 1999, p. 72.
  • Enrichetta Salerno, Pitture decorative dell'Ottocento in Calabria: il palazzo del Governo a Cosenza, in «Calabria Letteraria », XLIX, 10-12, ott-dic. 2001, pp. 55-59.
  • Tarcisio Pingitore, Angelo Mazzia, in catalogo Rubens Santoro e i pittori della provincia di Cosenza fra Otto e Novecento (a cura di T. Sicoli-I.Valente), Edizioni AR&S, Catanzaro 2003, pp. 150-151.
  • Enzo Le Pera, Mazzia Angelo Maria, in La Calabria e l'Arte/Dizionario degli artisti calabresi dell'Ottocento e del Novecento, Gazzetta del Sud, Grafiche Femia, Marina di Gioiosa Ionica 2005, pp. 102-103.
  • Giovanna Capitelli, I soggetti danteschi di Angelo Mazzia, in Tonino Sicoli (a cura di), Declinazioni accademiche e registro romantico nei pittori calabresi dell'Ottocento. Intorno ad alcune opere inedite di Vincenzo Morani e Angelo Mazzia, in Ottonovecento. Arte in Calabria nelle collezioni private, Centro «A. Capizzano », Maon, Rende 2013, pp. 18-21, 42.

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