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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Malara Arria, Maria

Maria Malara Arria (Reggio Calabria, 5 maggio 1917 – 30 novembre 2022)

Nata da Domenico, commerciante, e Irene Calandrelli Serlone, Maria Amelia Anna Malara, come risulta registrata allo Stato Civile di Reggio Calabria, si iniziò alla pittura a partire dal 1932 presso la Bottega d’Arte della sua città beneficiando della guida di Alfonso Frangipane.
All’Istituto d’Arte che Maria frequenta è attenta alle maniere del napoletano Ugo De Palma, di Daniele Schmidt, oltre che del reggino Alberto Bonfà, un eccellente paesista dal quale apprende lo studio della natura e le gradevoli variazioni luminose.
A Napoli, dove approda muovendo i primi passi della sua carriera, frequenta la bottega di Vincenzo Ciardo – nel 1940 il pittore è nominato professore di paesaggio all’Accademia di Belle Arti della città – col quale stringe un legame di riconoscenza e di ammirazione per la forza del suo linguaggio postimpressionista. Tra i prolifici contatti e le numerose relazioni che la pittrice intreccia con i diversi protagonisti della scena culturale italiana, da Gaetano Corsini ad Armando Salimbeni, emerge la figura del piemontese Felice Carena; dalla vicinanza di idee, dai sentimenti d’amicizia e confronto col pittore, discenderà un fitto scambio epistolare durato fino alla morte del maestro.
In anticipo sui tempi, lavorando alla decostruzione di ruoli e stereotipi femminili ancora oggi in corso, si dota di strumenti culturali atti a cogliere le tante opportunità per un personale cammino d’indipendenza e di crescita sociale. A riprova delle numerose aspirazioni innovatrici, imprescindibili alla conoscenza dell’artista, si citano i molteplici interessi e attività della Malara che si afferma come pittrice di professione ricoprendo inoltre il ruolo di docente di Ornato Disegnato presso il Liceo Artistico di Reggio Calabria sin dal 1939. A una lunga e brillante carriera artistica unisce l’impegno civico e associativo con le tante battaglie per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico della sua regione (fra tutte la forte denuncia condotta sulla stampa per il crollo di parte del Castello Aragonese di Reggio Calabria).
A tutto affianca l’onere di una famiglia avendo sposato nel 1953 a Pompei Giovanni Arria. 
Con le sue opere è presente in alcune tra le collettive di maggior richiamo accanto ad artisti di chiara fama. Agli anni giovanili si fa datare una prima attività di ritrattista, effigi di buona qualità disegnativa e pittorica – Ritratto di Pio XI, Ritratto di Re Vittorio Emanuele III, Ritratto della Regina Elena, Ritratto di Mussolini, tra gli altri – che le valgono un certo successo.
Privato dell’intento illustrativo, eroico o vedutistico di matrice romantica, nota originale del suo linguaggio fu la resa del paesaggio, tema che per la pittrice si àncora a una idea moderna, quasi ecologista. Le montagne, la campagna reggina, l’aspro versante ionico, il sottobosco arso dal sole, gli uliveti che dal mare si inerpicano verso l’Aspromonte, sono alcuni dei temi privilegiati per la sua produzione. «Ottenuti con una pittura all’olio che arriva, diluita nella stesura, agli effetti dell’acquerello… con una tavolozza scarna che gioca specialmente sulle variazioni dei bruni e dell’ocra ottenendo risultati di notevole effetto» (Villani, 1974), tra i tanti paesaggi prodotti, si segnalano La fiumaraPaesaggio (1950), Uliveto e vigna (1960), Il canneto (1968), Paesaggio(1977), Paesaggio ionico (1975), Mare a ScillaCasolare a Scido; in lei anche la città natale trova un cantore: Paesaggio da via Friuli (1952), Porto di Reggio (1964), scene dove luce e colori si attutiscono, immerse in atmosfere rarefatte e silenti.
Lontana dalla studiata e salda composizione, esaltando bensì i valori visivi con tratti quasi compendiari, la produzione paesaggistica della pittrice sembra evocare quella di Corot e soprattutto di Turner, fra i maggiori paesisti europei che, come è noto, a partire dal 1823 subiscono il fascino del Meridione, e della Campania in particolare, meta continua di peregrinazioni.
Agli anni Sessanta del Novecento si datano incontri importanti per la sua carriera: il gallerista milanese Stefano Cairola e il pittore siciliano Pippo Rizzo. Quegli anni si caratterizzano per una produzione di interni disadorni e familiari, più intuiti che reali, spazi vuoti e silenziosi privi della figura umana, finestre che si aprono sulla natura, su uliveti che si perdono a vista d’occhio, su visioni aspromontane. Opere come Interno (1974), Vecchia fotoControluce d’estate (1981), Interno: finestra sull’Aspromonte (1978), Balcone sullo Stretto, Interno con uva e cardi, La lumaca, Interno con kenzia tra le tante altre, si impongono per le forme dall’apparenza evanescente, sfumata; si tratta di un lento, progressivo percorso di depurazione della forma, una evoluzione sempre più vicina alla teoria impressionista e astrattista.
Altro protagonista del suo mondo pittorico sono i fiori, tema «assunto a simbolo di un mondo sentimentale squisitamente femminile» (Di Raco, 1971); fiori secchi o freschi, rami fioriti o fiori recisi, in vaso o inseriti a comporre nature morte, il tema, apparentemente testimone di aridità ma «tonalmente articolato e vivo», è reso con segno sottile, impercettibile a tratti, pennellate leggere, veloci, poco materiche, prive di ombre e a luci smorzate, «quasi con un pudore alla Tomea e alla Mafai della beltà appariscente», fino a raggiungere un processo di smaterializzazione con Rose (1951), Fiori di campo (1954), diverse Rose biancheCardi (1970), Rami di fiori (Civica Galleria d’Arte Moderna, Gallarate, 1974), Gladioli, Fiori in vaso.
Procedendo sulla strada dei diversi generi, l’artista affina le sue qualità artistiche toccando il tema della natura morta, con riferimenti alla morandiana sobrietà: Natura morta con fichi e uva (1961), Natura morta con cozzeOmaggio a Morandi (1980). La notorietà della pittrice si diffonde anche fuori dai confini regionali e della sua attività artistica, con le numerose rassegne che l’hanno ospitata dal 1951 al 1995 circa, si è occupata molta stampa, da quotidiani a riviste a edizioni d’arte. Le presenze in collettive e le personali si sono susseguite: Mostra Nazionale del fiore nell’arte (Teatro Massimo, Palermo, 1951); Biennale calabrese (Reggio Calabria, 1951) inaugurata da Felice Carena; L’arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia (Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1953); Mostra dell’UCAI (Cosenza 1955); Maggio di Bari (1956); Mostra del Sindacato Artisti Reggini (1958 1959); Mostra d’Oltremare (Napoli 1963); Piccola Galleria Bruzia (Reggio Calabria 1964). Nel 1971 a Firenze (Palazzo Antinori) incontra l’ammirazione di Umberto Baldini mentre nel 1973 la personale alla Galleria “Cassiopea” viene recensita sulla “Stampa” di Torino; a Milano l’anno dopo (Galleria Montenapoleone) si giova dell’ammirazione di Dino Villani e Mario Portalupi.
Partecipa inoltre al Premio Acitrezza e alla Mostra Nazionale di pittura di Castrocaro Terme (con premio). Dal 1958 al 1986, con premi nel 1967, 1977, nella sezione Pittura (l’altra era Letteratura), Maria Malara partecipa al Premio Villa San Giovanni. Nato dalla volontà di Giovanni Calì, la rassegna, che registra, fra partecipanti e membri della giuria, alcuni dei nomi più in vista del panorama culturale italiano – Felice Casorati, Mino Maccari, Carlo Levi, Fausto Pirandello, Alessandro Monteleone, Felice Carena, Aligi Sassu – si prefigge, fra i temi, gli «aspetti della vita e del paesaggio calabrese».
Numerosi anche gli appuntamenti personali: Reggio Calabria (1972, 1977, 1983), Atene (1975), Taormina (Palazzo Corvaja, 1962), Bologna (Galleria Artespaziodieci, 1988), Philadelphia, fra gli altri. È stato costante anche l’interesse della critica. Raffaele De Grada, critico d’arte, nel presentare le opere di Maria Malara nella rassegna del 1995, la definisce «un’artista fuori dal palcoscenico».
Presenti in importanti collezioni private, le sue tele sono state acquistate da diversi enti pubblici. A testimonianza del ruolo della pittrice nel cammino per l’emancipazione femminile in Calabria oltre che del suo lungo viaggio nell’arte, la città natale nel 2001 ha organizzato una rassegna antologica che ripercorre cinquant’anni di carriera (1950-2000), consegnando l’artista, fra le poche donne, al firmamento della storia dell’arte. Nel 2011 un Convegno sulla Malara, curato dall’Amministrazione comunale e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, è stato organizzato nel Museo archeologico lametino.
Viene a mancare alla veneranda età di 105 anni (Antonietta De Fazio) © ICSAIC 2023 – 2

Nota bibliografica 

  • Giuseppe Pontari, Catalogo di Maria Malara, s.n., Reggio Calabria 1955;
  • D. Villani, in Arria Malara. Sentimento di Calabria, catalogo della Galleria Montenapoleone, Milano 1974;
  • Franco Purini, in «Corriere di Reggio», 2 aprile 1983;
  • Armando Giorno, La Calabria nell’arte. Catalogo storico-artistico dei pittori calabresi dalle origini ai giorni nostri, Orizzonti Meridoonali, Cosenza 1993, p. 214;
  • Maria Froncillo, “Codice dell’anima” di Maria Arria Malara, in «Brutium», I, 3, 2001;
  • Fortunato Valensise, Maria Arria Malara, in «Calabria sconosciuta», XXIV, luglio-settembre 2001, p. 75;
  • Gaetanina Sicari Ruffo, Nel nuovo studio di Maria Arria Malara, in «Daidalos», II, 2, Reggio Calabria 2002, pp. 95-97;
  • Ugo Campisani, Artisti calabresi. Ottocento e Novecento. Pittori, scultori, storia, opere,Pellegrini, Cosenza 2005, pp. 249-260; 
  • Enzo Le Pera. Arria Malara Maria, in «Gli artisti della Calabria. Dizionario degli Artisti Calabresi dell'Ottocento e del Novecento», Pellegrini, Cosenza 2013, p. 39;
  • Antonietta De Fazio, La Calabria e i suoi artisti. Dizionario dei pittori (1700- 1930), Rubbettino, Soveria Mannelli 2020, pp. 206-207.

Nota archivistica

  • Comune di Reggio Calabria, Registro degli atti di nascita dell’anno 1917, n. 628. 

Ringraziamenti

  • Un caloroso ringraziamento alla professoressa Cettina Nostro per la sua generosità e le utilissime notizie fornite e alla professoressa Manuela, figlia della biografata.

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